a cura di Progettomenodue
Sull’online negli ultimi anni le aziende stanno giocando la loro partita più importante. Per riuscire a differenziarsi nel mare magnum del web i brand, oggi più che mai, devono essere in grado di riuscire a comunicare con i propri consumatori in maniera efficace.
Ciò che una volta era appannaggio esclusivo degli uffici fumosi dei pubblicitari, il saper raccontare una storia è diventato croce e delizia dei direttori marketing.
Un tema di grande attualità è quello del social engagement. Si possono trovare centinaia di articoli su come analizzarlo e migliorarlo.
Ma di cosa si tratta?
Tradotto letteralmente dall’inglese, significa coinvolgimento e riguarda la sottile arte di riuscire a interessare qualcuno e fargli compiere un’azione per dimostrarlo. Oggi rappresenta la sfida più grande per le aziende, primo perché molto difficile da tracciare e secondo perché non serve per vendere prodotto (quello lo si ottiene di riflesso) ma per costruire un dialogo con l’utente e creare del valore aggiunto. C’è davvero molto in gioco: esso determinerà il futuro di tanti brand, la loro ascesa, se sapranno essere convincenti, o la loro discesa, fagocitati da competitors più attenti.
Terreno privilegiato di questa partita sono ovviamente i canali social che, per loro natura, nascono per creare interazioni e stimolare conversazioni. Attenzione però: il concetto del purchè se ne parli è superato e anzi, in questo caso, può rivelarsi controproducente. Perché la rete è spietatamente democratica. Un passo falso e la brand reputation di anni va a pallino. Con conseguente danno a livello economico. Nel tessere una storia non bisogna mai dimenticare di mettere l’utente sempre al centro. Quello che viene oramai chiamato consumaTTore, al quale proporre contenuti attuali, originali, in grado di suscitare emozioni per fare in modo che vengano apprezzati e condivisi.
A fronte di tanti racconti virtuosi qualcuno, ahimè, scivola su qualche buccia di banana. Ne è un esempio, per restare in atmosfere natalizie, l’ultima campagna del brand di gioielli Pandora. La pubblicità dell’azienda danese chiedeva “Secondo te cosa la farebbe felice? Un ferro da stiro, un grembiule o un bracciale Pandora?” La domanda è diventata subito virale, scatenando l’indignazione della rete sulla percezione della donna. Accusata di pubblicità sessista, l’azienda ha dovuto fare retromarcia e porgere le proprie scuse.
O ancora, Barilla. Dopo il mugnaio Banderas, arriva la figlia Emma che col compagno decide di portare avanti l’azienda di famiglia. Nel finale si legge Le nuove storie del mulino stanno arrivando. Ma non è sufficiente inserire il termine storia per creare aspettative. Questo genere di messaggio, identico alle pubblicità degli anni Ottanta, ha ben poco di realistico. È soltanto una bella favola in cui è molto difficile rispecchiarsi. E Barilla, in questo, fallisce nell’obiettivo più importante. Quello di riuscire a comunicare in maniera credibile e, soprattutto, condivisibile.
Ben diversa invece la strategia di Ikea che, con l’hashtag When real life happens, lancia la sua campagna dove contestualizza i prodotti in una serie di storie dove vediamo la mamma lavoratrice che arriva a casa la sera e deve pensare alla cena o il padre divorziato che si presenta alla porta per trascorrere il weekend col figlio.
Altro strumento imprescindibile nella marketing strategy di un’azienda sono e saranno le Instagram Stories. Questa funzione, lanciata da Zuckenberg & co. nell’agosto del 2016, permette di offrire contenuti immagini e video che spariscono dopo 24 ore. Esse favoriscono un contatto molto diretto e unfilthered, creano coinvolgimento immediato e riducono anche il rischio dell’overposting. Mostrare il backstage di una sfilata o un momento reale della vita di un’azienda migliora de facto la brand awareness avvicinando e rendendo felici i followers, proprio perché testimoni di un attimo fuggente ma speciale.
Gli strumenti a disposizione per creare engagement sono tanti e potenti ma da calibrare alla perfezione perché se una volta bastava solo cambiare canale di fronte ad una pubblicità fastidiosa, oggi quel fastidio non resta tra le mura domestiche o nelle chiacchere da bar. Finisce diretto in rete.
E, come nelle arene romane, un pollice verso è decisivo e può coincidere con la morte (social) di un marchio.