Customer engagementCustomer experience

Le migliori cose nella vita non sono cose

di Andrea Bettini
Perché oggi comunicare emozioni e costruire esperienze sono le vere strategie vincenti?

“The best things in life aren’t things” diceva Arthur “Art” Buchwald, il giornalista e scrittore statunitense, vincitore nel 1982 del premio Pulizer. Da questa citazione si possono aprire una serie di considerazioni. Tante di queste possono ricondursi al ruolo che già oggi e sempre più, in un futuro veramente prossimo, avranno i negozi e i luoghi di acquisto. Il tutto gravita attorno a quello che è il concetto di esperienza. Che cosa effettivamente rappresenta un’esperienza? Qual è il significato che si cela dietro a questo termine? La risposta da manuale potrebbe essere questa:

Si parla di esperienza quando una persona ha avuto modo di vivere in prima persona un momento, una situazione o un incontro. Un’esperienza è come a livello di subconscio abbiamo provato determinate emozioni. Come le abbiamo archiviate all’interno dello spazio dei nostri ricordi. Le sensazioni che ci suscita nuovamente quando pensiamo ad essa, ne parliamo o la condividiamo con altre persone”. Ma se dovessimo essere più pragmatici l’esperienza è un modo per sentirsi vivi.

Questo aspetto lo ha ben colto chi si occupa di turismo, pensate solo alla rivoluzione apportata da un player come Airbnb, che ha capito da diverso tempo che non si vendono più camere, ma esperienze e questa cosa l’ha messa a sistema proponendo una modalità di vendita delle destinazioni sulla base di esperienze, le più disparate, che il viaggiatore può scegliere. Ancor prima il tema dell’esperienza l’ha colto chi lavora nell’ambito del food. Oggi gran parte della ristorazione si sta dirigendo nella direzione di “regalare” una festa per i sensi. Lo stesso ambito culturale sta sempre più sperimentando la costruzione di mostre d’arte che appaiono sempre più come la costruzione di percorsi narrativi-esperenziali. A tal riguardo Laurent Le Bon, Direttore del Musée Picasso di Parigi più di una volta ha dichiarato che “il museo di oggi deve saper raccontare storie”.

È chiaro che in uno scenario di questo tipo anche il mondo del retail non poteva apportare cambiamenti. Ha iniziato naturalmente Apple, costruendo dei veri e propri luoghi come gli Apple Store, dove non si va (solo) ad acquistare prodotti, ma in un pellegrinaggio collettivo si va a vedere le ultime uscite e ad aggiornarsi attraverso i diversi corsi che mettono a disposizione per migliorare l’esperienza di utilizzo dei suoi prodotti. Starbucks, ha introdotto un nuovo modo d’intendere la caffetteria. Da spazio mordi e fuggi a luogo d’incontro e in grado di trasferire la sensazione che ti sta regalando del tempo. Gli esempi sono innumerevoli, dai più recenti Eataly a quelli dedicati apparentemente solo ai più giovani, come gli M&M’S World o i LEGO Store. Naturalmente in tutto questo il mondo del fashion retail non è rimasto a guardare. Che potessero piacere o meno, ma le suggestioni visive e sonore prodotte dai primi store marchiati Abercrombie hanno fatto un loro pezzo di storia legato alla customer experience. Ma non possiamo certo fermarci qui.

Tra la ricerca della formula magica dell’omnicanalità tra online e offline e i dati che arrivano di un’inversione di tendenza dei grandi centri commerciali a favore del piccolo negozio sotto casa, proprio tra queste dinamiche si potrà trovare forse il viatico per affrontare quella che potrà essere una nuova dimensione del luogo di acquisto. Se da un lato il semplice click su una piattaforma come Amazon sembra aver completamente disumanizzato il momento d’acquisto, dall’altro c’è una sempre più necessità nei consumatori di un ritorno al contatto umano. Quello del negozio sotto casa dove il nome del negozio stesso è quello della persona che lo gestisce. “Vado da Marco a cambiare le gomme”, “… da Giulia a comprare la frutta”, “… da Beppe a tagliarmi i capelli” e così via. E saranno sempre più questi luoghi che avranno bisogno di una narrazione che partendo dal digital e dai social, troverà la sua completa dimensione in quello che potremo definire uno storytelling live, dove il commerciante, l’artigiano, l’artista di turno potranno attraverso le loro parole passare dal vendere qualcosa a vivere qualcosa. Trasferire pezzi della loro storia. Chi entrerà in questi luoghi come acquirente dovrà uscirne come ambasciatore.

Perché andremo in questa direzione?

Perché l’essere umano oltre ad essere un’animale sociale è un’animale da storie. È intrinseca in lui la necessità di raccontare e di ascoltare storie. È il suo modo per interpretare la realtà. È il suo modo per interagire con il mondo e i luoghi di acquisto non potranno che essere sempre più piccoli spazi dove far vivere tutto ciò.

 

Andrea Bettini, Storytelling Specialist e Direttore Didattico di Alta Via Camp. È autore del libro “Non siamo mica la Coca-Cola, ma abbiamo una bella storia da raccontare” (ed.FrancoAngeli, maggio 2015), manuale di Corporate Storytelling per le PMI; co-autore insieme a Francesco Gavatorta di “ Storytelling – Costruire narrazioni di sé efficaci” (ed. FrancoAngeli, dicembre 2016). Da poco è uscito il suo ultimo libro dal titolo “La giusta dimensione. Storia di un’impresa che ha saputo evolvere senza perdere di vista valori e persone” (ed. FrancoAngeli, giugno 2017).

www.andreabettini.me

 

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